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Impara l’Arte

Sto scolpendo una poesia sulla Condizione Umana. Finora ho prodotto solo muscoli verbali indolenziti e qualche martellata su pollici metaforici. Se il cesello non funziona andrò di ascia. Ne farò legna da ardere per riscaldare un cuore ferito dal fallimento. Rimanendo in tema. 

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Snowboard, sogni, separazioni limitate

Questa è una bozza che era ferma al marzo del 2007. Nel frattempo Jake Burton è deceduto e un paio di altre cose sono successe. Rimane una storia che ha qualche interesse, soprattutto personale. Così, per ripartire dopo 11 anni di pausa, o forse no. Intanto questa la pubblichiamo.

Dopo il delurking day, che non abbiamo festeggiato, di qualche tempo fa, si passa alla giornata nazionale dell’atteggio.

Si cita qualche personaggio famoso che si è potuto vedere, oppure qualche manciata di secondi di celebrità vissuti. Conto sul fatto che tra le righe si riesca a leggere il messaggio, ben più importante delle mie frequentazioni.

Nell’estate del 1992 Terje Haakonsen aveva 18 anni ed era già un affermata stella dello snowboard (di quelle che brillano proprio, e sono lustri avanti tutti gli altri).

Io avevo qualche anno in più ed ero un campione nel riuscire a reggermi a malapena verticale dopo il mio primo inverno trascorso sullo snowboard (che poi lasciai dopo una breve ma intensa e soddisfacente carriera nel 1998).

Quell’estate mi iscrissi ad un camp di una settimana, sullo Stelvio, special guest, guarda te, Terje Haakonsen.

Ovviamente sulle piste lo vidi solo da lontano. Io ero affidato alle cure amorevoli di un insegnante per principianti, il quale ci accudiva attendendo con pazienza che fossimo tutti in piedi contemporaneamente, evento non frequente, per guidarci a valle a guisa di chioccia confusa che si chiede perché sia seguita da una covata di pinguini.

Ma venne la sera del penultimo giorno, la tradizionale festa d’addio si trasformò in una specie di sfida a chi beveva di più, come sempre accade. Rexer non bevve più di tanto, come sempre accade, e se ne andò a letto presto. Tutti gli altri si coricarono quando ormai albeggiava, credo.

Il sabato mattina mi sono presentato per l’ultima scorribanda sulle piste, che erano sinistramente vuote e tranquille.

Eravamo solo io, il responsabile del camp, ed un Professionista, Terje Haakonsen, che a dispetto della baldoria era lì, pronto al lavoro. I suoi studenti erano però tutti cappottati per cui gli venne assegnato il sottoscritto.

Immagino non sia stato il sogno della sua vita ma mi ha seguito con attenzione per tutta la mattina, insegnandomi a saltare piccoli ostacoli e ad andare all’indietro.

Per riportare la cosa ad un esempio attuale sarebbe come Valentino Rossi trascorresse una mattina ad insegnare ad andare in moto ad un appassionato. Per rendere l’idea, perché Haakonsen, in proporzione, era superiore agli avversari.

Perché ho scritto tutto questo oltre che per atteggiarmi?

Perché molte volte la realizzazione dei nostri desideri è legata sì alla fortuna, ma quest’ultima può essere abbontantemente aiutata con l’impegno consapevole e razionale.

Vuol dire che si possono realizzare tutti i nostri sogni? No, vuol dire che se ci si dà da fare potrebbe anche essere che qualcuno si realizzi.

Ricordatevi dei sei gradi di separazione.

E visto che ormai siamo in piena giornata nazionale dell’atteggio, in quei giorni sullo stelvio c’era anche Jake Burton padre fondatore dell’omonima azienda ed in lizza come uno dei fondatori dello snowboard. Non si è mai ben chiarito.

Un po’ come andare ad una mostra di computer ed incontrare Steve Jobs (ricordate che questa era una bozza del 2007. RIP Steve. ndr).

Quest’ultimo non ha però la fama di essere molto socievole. Jake (notare l’utilizzo del nome a simulare un certo grado ci confidenza) invece spese buona parte della settimana per spostarsi in snowboard da un rifugio all’altro, togliersi gli scarponi e mangiare minestra.
L’unica conversazione che abbiamo avuto ha riguardato delle modifiche che avevo fatto sugli attacchi. Il fondatore di una delle aziende più grosse del settore si perde a parlare di inezie tecniche con un perfetto sconosciuto che avrebbe avuto tutto da imparare.

In entrambi i casi i Grandi si sono differenziati per la professionalità e l’umiltà.

Io solo per il fatto di essere rimasto sobrio. Non un grosso biglietto da visita.

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Julie & Julia, vita da scrittrici

Come farsi pubblicare un libro è da sempre nella top tre dei messaggi più letti quì e quindi immagino di fornire un servizio utile segnalando agli aspiranti scrittori il film Julie & Julia il quale, con abilità narrativa, racconta della vita di due autrici di successo, o meglio di quella parte del viaggio che ha consentito loro di arrivare alla pubblicazione di un libro.

Due storie separate dalla storia, una quarantina d’anni, ma unite con sapienza da molteplici coincidenze. E se, aspiranti scrittori, la prima reazione è “sì, ma loro avevano il vantaggio di (inserire vantaggio a caso)” significa che dovete avere una seconda reazione.

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Sono caduto in Basso

Sembra che il buon Ivan abbia ammesso il suo coinvolgimento nell'”Operacion Puerto“,

Adesso si sente meglio, tolto un peso dalla coscienza.

Immagino.

Adesso magari mi diventa pure un eroe, perché ha avuto il coraggio di ammettere.

Io invece, ho pianto, e non so perché. Ha ragione il presidente dell’UCI quando dice di non lasciar sole le persone.

Come dici? Ah, non si riferiva a me.

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Mi Dipingevo le Mani e la Faccia di Blu (nel tempo libero)

Su segnalazione di Guy kawasaki si arriva ad un manifesto su come essere creativi composto da Hugh MacLeod, che ringrazia Kawasaki e chiude il cerchio.

Mi sembra una presentazione sensata quella di MacLeod. Fra l’altro verso pagina 14 recita “La persona creativa di base ha due tipi di lavoro. Uno è sexy, del tipo creativo. L’altro è del tipo che baga le bollette”.

Per la serie tutto torna, spesso, ciò ci riporta alla mente i consigli di Marty Nemko, citati su queste pagine nel passato, sui difficili equilibri tra sogni e realtà.

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Momenti Perfetti

Curly Washburn, alias Jack Palance, in Scappo dalla Città(1) parla di un momento perfetto che ha vissuto, la visione di una ragazza, che si è chiuso lì, nella compiutezza della scena.

Non sono Jack Palance, fortunatamente direi, adesso, ma anch’io ho avuto il privilegio di vivere un momento così(2).

Si era nel 1999, estate, caldo, molto caldo, asfalto morbido che quasi si attaccava alle scarpe, ascella pezzata, resto del corpo eccitato per il fatto di essere a New York, che è sempre una Signora Città, specialmente per noi ragazzi di campagna.

Decisi di fare colazione allo Starbucks(3), tra la 54ma e Broadway(4), e lì al tavolo, seduta da sola, c’era questa ragazza, attorno ai trenta, sull’uno e settanta, longilinea, proporzionata, i capelli scuri, dritti, raccolti in una coda di cavallo trattenuta da un semplice elastico, i lineamenti regolari, aria seria ed indipendente, t-shirt bianca, pantaloni verdi con le tasche laterali, le gambe accavallate, nike sopra dei calzini bassi che lasciavano scoperte le caviglie sottili. Stava assaporando un croissant, il caffé sul tavolo, a lato, il Wall Street Journal di fronte.

Non mi sono avvicinato, non le ho parlato, nulla. E’ rimasto quello che è stato, un momento perfetto(5), non sarebbe potuto essere meglio di così(6).

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(1)indipendentemente dalla scena in questione il film andrebbe visto per i dialoghi affilati, e le riflessioni di individui ormai introdotti nella vita tanto da cominciarne a vedere l’esito finale non poi così in lontananza.

(2) la genesi del messaggio merita un piccolo cenno: Shymay ha commentato, nel post su una vita da lettore di Nick Hornby, che quest’ultimo le ha fatto scoprire Anne Tyler.
Anne Tyler ha vinto il Pulitzer nel 1989. Il Pulitzer è organizzato dalla Columbia University che si trova a New York, dove è occorso il momento citato.
La mascella si accascia quando si pensi alle connessioni che possiamo creare.

(3)Lo so. Starbucks. Le Multinazionali Brutte e Cattive. Ero giovane e non conoscevo tutte le implicazioni sociopolitiche di prendere un Cinnamon roll ed un succo d’arancia nel regno del male. Resta uno dei posti più accoglienti dove entrare per passare alcuni minuti o delle mezze ore.

(4)L’indirizzo potrebbe non essere completamente corretto ma suona benissino (cfr. anche Guccini sull’argomento)

(5)[zen] è stato assolutamente casuale, il che gli ha permesso di raggiungere la perfezione. Lo dico perchè molte persone visitano luoghi alla ricerca del momento perfetto e quella leggera tensione della ricerca non consente loro, a mio avviso, di assaporare appieno il congiungimento di tutti gli elementi, se e quando accada [/zen]

(6) incredibile quello che si riesce ad inventare per razionalizzare scelte (o non scelte) infelici. Siamo veramente esseri pieni di risorse che possono plasmare la realtà a loro piacimento. Ovvero la ricetta della felicità è una fervida immaginazione.
Questa me la devo scrivere.

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Uno su mille (forse) ce la fa, ma com’è dura la salita

Ieri ascoltavo il podcast di writersonwriting in cui c’è una istruttiva intervista con Elise Capron, che è una agente letteraria e ha condiviso il suo punto di vista su libri e mercato editoriale.

Elise fa parte di una agenzia di piccole dimensioni e, fra le altre cose, ha detto che in ufficio ricevono circa 300 (trecento) sottomissioni (1), non richieste, alla settimana.

Ha comunque chiuso su note positive suggerendo di non lasciarsi scoraggiare dai rifiuti e di continuare a provare perché è solo questione di trovare la persona giusta.

Quest’ultima affermazione mi porta alla mente ben altri struggimenti, che, incidentalmente, hanno poi fatto la fortuna di molti scrittori.

E questo mi ha a sua volta ricordato anche di quando, passeggiando per San Francisco, sono passato di fronte alla casa di Danielle Steel. Casa è un termine riduttivo per un sostanzioso maniero che occupa un intero isolato di un quartiere noto per l’alto costo degli immobili in una città nota per l’alto costo degli immobili.

Il tutto ha del sorprendente se considerate che difficilmente troverete qualcuno disposto ad ammettere di aver letto un libro della Steel.

Su wikipedia dicono che fino al 2005 aveva venduto più di 530milioni di copie. Porca vacca, e scusate il francesismo (a proposito Danielle dovrebbe avere anche una casa in Francia, dove spende parte dell’anno. No, giusto per la questione dei blog che fanno informazione. Questo (s)copre le nicchie).

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(1) non trovate sia un termine insinuante ed ambiguo?

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E’ importante realizzare i propri sogni?

Questo è un cartone animato, dal titolo “Kiwi!”, che parla della realizzazione dei propri sogni.
Magari siete tra gli oltre 3 milioni di persone che l’hanno già visto, magari no.

Per me è splendido ma se ne sconsiglia caldamente la visione ad un pubblico sensibile.

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Perso sotto coperta

Sono stato catturato assieme ad una decina di amici, poi sottoposto a delle prove. Alcune veramente assurde, altre dolorose, altre di pura resistenza fisica.
Separato e riunito agli altri a turno, prima in una cosa che sembrava un sommergibile, poi nella foresta.

Ho cercato di dare un senso al tutto ma non ci sono riuscito, mi sono limitato a cercare rimanere a galla il più possibile e vedere cosa sarebbe successo. Non ricordo neanche gli eventi tanto ero impegnato allo stremo semplicemente per sopravvivere

Quando ormai pensavo non ce l’avrei fatta mi hanno gettato in una stanza, assieme ad altri due di noi.

Dopo averci fatto attendere, ancora, ci hanno comunicato che il tutto era una specie di test, per vedere se potevamo essere arruolati in un esercito che si preparava per una non meglio precisata battaglia.

A quel punto sono riuscito a dare un significato agli eventi degli ultimi giorni.

Tutto quadrava, finalmente, ma dopo aver realizzato che a quel punto era tutto finito, mi sono però reso conto che eravamo solo alla terza puntata della terza serie, di Lost. Ricordavo che gli autori parlavano di materiale per almeno quattro serie e quindi sono ripiombato nel dubbio.

Poi mi sono svegliato.

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