Quando si è piccoli si vede il mondo da un’angolatura piuttosto statica.
Tutto è sempre stato così, i bambini piccoli, i genitori grandi e i nonni vecchi, e non si vede perché debba cambiare, anzi, non si concepisce che possa cambiare.
Vai in montagna con le nonne che ti portano a fare passeggiate luuunghe, che ti stanchi prima di arrivare, e fai il picnic mangiando il panino con la mortadella che hanno fatto, e portato, loro.
A 18 anni fai la patente, il mondo è ancora tutto sommato stabile, ma tu sei grande ormai ed esci per la prima volta da solo con la macchina. Tutto va alla grande, ma quando rientri l’inesperienza ti fa valutare male l’entrata in garage e ti incunei in quell’angolo fetente. Il muro non ne soffre, ma la portiera sì. Tuo padre non ti sgrida, ma ti fa indietreggiare e riprovare e, con un po’ più di attenzione e consapevolezza dei tuoi limiti, porti quello che resta della carrozzeria in salvo.
Passa ancora qualche anno e la nonna fa sempre più fatica a camminare, fino a fermarsi, definitivamente. E ti rendi conto, definitivamente, che il mondo non è poi così immutabile.
La geometria non è mai stata il tuo forte, ma ricordi della sua importanza la prima volta che l’angolo del garage, sempre lui, fa un’altra vittima. Questa volta è tuo padre, che ha valutato male le proporzioni. Non commenti, non è l’angolo il problema.
E una decina di anni dopo ti ricordi dell’importanza degli angoli. Quando praticavi il massaggio cardiaco, sul manichino del corso di primo soccorso, sottolineavano la questione della spinta perpendicolare al terreno e i gomiti bloccati. Angoli favorevoli. Per la vittima. Meno per la tua schiena, specialmente se devi farlo per oltre dieci minuti, con l’unica compagnia della voce pacata dell’operatrice del 118. Ancora una volta, comunque, non è l’angolo il problema.
E quando arriva il medico ti siedi. Esausto. Statico. Ma solo per un po’. Poi tutto torna a scorrere, inesorabilmente, nella stessa direzione: i 360 gradi di un angolo giro.